Heroin Chic e No-Anorexia, il paradosso dei brand della moda “contro” l’anoressia

Amir_Artiz_04Si intotola “Heroin Chic” il progetto artistico sviluppato da Loral Amir e Gigi Ben Artzi e vede protagoniste alcune prostitute eroinomani,  in uno shooting di pronunciata denuncia sociale, durante il quale alle donne è stato chiesto di vestire dei capi di alta moda firmati Miu-Miu, Alexander Wan e Luis Vuitton.
Il progetto ha ovviamente messo a dura propva i due artisti, scambiati inizialmente per poliziotti in borghese dalle modelle, conosciute nei luoghi-simbolo del disagio, sotto dei ponti. I due hanno infatti dovuto conquistarsi la loro fiducia per poi essere immortalate nell foto che vanno a comporre lo shooting finale.
L’iniziativa porta chiaramente la nostra attenzione sulla somiglianza, spiccatissima, tra le forme spigolose delle protagoniste di questo progetto fotografico e quelle che vediamo solitamente calcare le passerelle di mezzo mondo.
Amir_Artiz_05Il tema dell’anoressia (in questo caso correalto all’uso di sostanze astupefacenti) nell’ambito della moda o anche di alcune discipline sportive (come la danza) ha sollevato e continua a sollevare polveroni mediatici che svaniscono in fretta al di là dello scoop degli sporadici articoli sul tema, poichè il modello di donna sottopeso con il viso emaciato, senza seno e perlopiù dai tratti androgini o addirittura che ricordano quelli di bambine denutrite, continua ad essere considerato un punto fermo tra i canoni di bellezza dell’industria della moda e preso ad esempio da una larga fetta di ragazzine in età puberale e sempre più spesso anche al di sotto di questa fascia (si riscontrano casi di anoressia precoce anche a 7-8-9 anni.
Nel 2007 uno spregiudicato (ma forse il termine più esatto è “strapagato”) Oliviero Toscani irruppe dopo gli scatti dedicati alle modelle multicolori di Benetton con una serie di foto dedicate alla campagna contro l’anoressia con la partecipazione del brand Nolita, del gruppo Fresh&Partners e  promossa dall’allora Ministro della Salute Livia Turco. I giganti cartelloni pubblicitari ritaevano una 27enne malata di anoressia di nome Isabelle Caro, che si rese disponibile a posere nuda mostrando un corpo visibilmente denutrito e un volto devastato dalla patologia che l’aveva portata ad un peso di 31kg per 1,67cm di altezza. La campagna fu ampiamente discussa, non senza critiche e accuse mosse nei confronti del fotografo e dei finanziatori.
Amir_Artiz_09Come apprezzatrice del genere realistico e delle campagne pubblicitarie dal forte messaggio di denuncia, trovai i ritratti di Toscani interessanti e abbastanza crudi, senza per questo appoggiare in toto lo scopo ultimo del progetto, che sarebbe stato quello di dissuadere, soprattutto le giovani ragazze, dall’intraprendere un percorso fatto di diete ferree, fitness estremo e conteggio delle calorie che porta facilmente alla condizione ritratta dal fotografo italiano attraverso la visione del corpo di Isabelle ma anche portare l’attenzione delle masse su una problematica sociale troppo spesso minimizzata e trattata come un tabù . Trovai infatti nel progetto una vena di ipocrisia data dalla fame di popolarità di un fotografo come Oliviero Toscani e dalla necessità di una casa di moda di ‘riscattarsi’ in qualche modo, in concreto un sempre attuale “basta che se ne parli”,  imperativo delle contorte logiche del marketing (ma in realtà concetto molto più antico poichè la citazione estesa è attribuita ad Oscar Wilde, parafrasata un brano del romanzo “Il ritratto di Dorian Gray”, 1890).
In definitiva, entrambi i progetti affiancano il loro messaggio quale che sia (no all’anoressia, no alla droga) sui solidi nomi di alcuni brand della moda, i quali sembrerebbero voler epurare la propria immagine dal loro più o meno attivo coinvolgimento come fattori responsabili della disagio di almeno una media del 3% di ragazze nella fascia di età che va dai 12 ai 22 anni, che si stima siano afflitte da Disturbi del Comportamento Alimentare (dati che comprendono diversi DCA, tra i quali anoressia, bulimia, binge eating e disturbi non altrimenti definiti o NAS, Rapporto Istisan ,Giugno 2013).
In sostanza che si tratti di prostitute dipendenti dall’eroina o di ragazze dedite a farsi morire di fame che corrono per ore fissando il vuoto all’inseguimento di un ideale surreale di bellezza e perfezione, il messaggio rimane il medesimo: “magro non è bello, magro è morte”, ma non sarà purtroppo sufficiente a dissuadere masse di teenager al centro di una tempesta di immagini a raffica di donne di successo che differiscono da Isabelle Caro per pochi punti nell’Indice di massa corporea (BMI, Body Mass Index) e che spesso in gran segreto ricorrono a qualche aiutino artificiale ed illegale per non sentire il senso di fame.
nolitaL’importante in qualunque caso è “che se parli, nel bene o nel male” poichè quandoin un determinato  paese, una fotografia o un’opera d’arte, diventano un tabù, quel paese sta censurando il messaggio che l’artista intende veicolare e bechè “porti la firma” delle case di moda che lo sponsorizzano, l’informazione, seppur “sponsorizzata” proprio da chi solitamente ‘vende’ taglie 38, raggiunge il destinatario in tutto il suo parossismo. Ovviamente la questione alza un dibattito relativo all’etica dei diversi progetti, visti da alcuni come paradossi di un sistema che da un lato esalta il mito della magrezza e dall’altro apparentemente, tenta di combattere un fenomeno sociale devastante. Al fruitore degli scatti sta quindi il duro compito di accettare o meno una provocazione di enorme portata che a seconda dei punti di vista può assumere il significato di denuncia sociale anche potenzialmente controproducente, campagna pubblicitaria meschina e amorale che ancora una volta ribadisce la fondatezza del concetto espresso da Oscar Wilde 124 anni fa oppure ancora , prendendo ad esempio l’etica aristotelica concedere ai creativi il “beneficio del grigio”, permettendo da un lato la pubblicità  (negativa o positiva che sia) del marchio ma non perdendo di vista l’utilità sociale del messaggio-shock relativo all’eccessiva magrezza  che ha la funzione di provacare una reazione  e una rilessione (quale che sia) in chi osserva l’opera.
Gli scatti del progetto Heroin Chic sono visibili cliccando su questo link

Federica Vecchietti

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