Il Leone di Munster

OLYMPUS DIGITAL CAMERACi sono stati uomini che in ogni tempo hanno alzato la testa contro il Drago. Il loro coraggio, il loro onore è per noi insegnamento perenne. Perché la battaglia è infinita, e il coraggio deve costantemente essere rinnovato, generazione dopo generazione.
Oggi parlerò di uno di questi uomini. Clemens August conte di Galen, vescovo di Munster, che verrà conosciuto, per il suo straordinario coraggio come “Il Leone di Munster”.
Clemens August conte di Galen nacque nel 1878. Undicesimo di tredici figli, cresce in una famiglia aristocratica della Westfalia, profondamente cattolica, i cui avi sono stati per secoli tesorieri del vescovo principe di Munster. Divenne sacerdote nel 1904. Dopo la prima guerra mondiale e la successiva crisi finanziaria che aveva rovinato milioni di famiglie, Von Galen si adoperò al servizio dei suoi parrocchiani in difficoltà e fondò per loro un’associazione di mutua assistenza. Spesso per aiutare le persone in difficoltà, prelevò dalle sue entrate personali. Un giorno ebbe a dire “Sarebbe veramente inutile se mi restassero ancora dei beni dopo la mia morte”.
Pio XI lo nominò vescovo il 5 settembre 1933. Fu il primo vescovo eletto dopo il concordato tra il Reich e la Santa Sede siglato il 20 luglio 1933. Nella cerimonia del suo insegnamento, il 5 settembre, vi erano molte figure di spicco del regime, che certo non immaginavano che Galen si sarebbe dimostrato il loro più fiero oppositore. Il suo motto episcopale fu  motto episcopale – “Nec laudibus nec timore”; il cui senso sostanzialmente era “non ci faremo guidare né dalla lode né dal timore degli uomini“.
Dopo la “notte dei cristalli” (9-10 novembre 1938), durante la quale la sinagoga di Münster viene incendiata dai nazisti, Mons. von Galen offre il suo aiuto agli Ebrei, alla moglie del rabbino della città, che è stato imprigionato.
La sua più importante battaglia, la sua battaglia della vita, quella per cui soprattutto è ricordato, fu quella  contro i progetti di eliminazione delle cosiddette “vite indegne di essere vissute”.
Bisogna comprendere il contesto in cui von Galen operava. Un contesto dove con ogni mezzo si voleva affermare una ideologia di sterminio, sangue, supremazia sui deboli, gli imperfetti, gli inferiori.
Nel dicembre 1935 nasce il progetto  Lebensborn, “sorgente di vita”. In esso viene stabilito che i membri delle SS abbiano assistenza gratuita affinché generino “bambini dai caratteri razziali eccellenti”. Il 28 ottobre 1938, Himmler emana quelle che chiama “nuove direttive sulla riproduzione”; nelle quali è previsto che ogni SS generi almeno un figlio, per compensare il rischio della perdita in guerra del suo sangue prezioso. Ed è anche previsto che ogni ragazza tedesca di puro sangue ariano deve farsi mettere in cinta da un soldato prima che questi sia inviato al fronte.
Nel settembre 1939, con la guerra che infiamma l’Europa. Himmler dichiara “Intendo prendere il sangue tedesco ovunque si trovi nel mondo, rubarlo, carpirlo, ovunque sia possibile”. Le cliniche lebensborn diventano batterie di allevamento per bambini giudicati biologicamente adatti, rapiti nei territori occupati.
Nel 1930 Alfred Rosemberg pubblica “Il mito del ventesimo secolo. Una valutazione delle battaglie spirituali del nostro tempo”. Un testo cardine dell’idelogia nazionalsocialista, che dalla prima edizione al 1945 avrà una tiratura globale di più di un milione di copie. Rosemberg sostiene che Gesù Cristo ha proclamato l’esistenza della pura razza ariana e che “il sangue nordico rappresenta il mistero che ha sostituito e superato gli antichi sacramenti”. L’uomo ariano diventa la vera incarnazione del sacro nel mondo. E il Fuhrer come emblema della purezza del sangue germanico, è una figura sostanzialmente divina che opera nel mondo.
Il clima di fanatismo biologico dell’epoca poteva essere “respirato” ovunque. Hitler disse: “Ai nostri occhi il giovane tedesco del futuro deve essere snello e slanciato, agile come un levriero, tenace come il cuoio,  duro come l’acciaio Krupp”.
Himmler dichiarò “voglio creare attraverso l’accoppiamento di individui superiori una elité biologica, un nucleo razziale da cui la Germania possa attingere per rinvigorire una eredità ariana ora pericolosamente diluita.”
Nel 1934 in un raduno di massa a cui sono presenti anche medici, Rudolf Hess dirà “Il nazionalsocialismo è biologia applicata”. L’entusiasmo dei medici va alle stelle; in massa chiedono di aderire al partito nazionalsocialista.
Si andava  edificando una ideologia di sangue, morte, supremazia biologica sulle vite “inferiori”.
Molti erano ebbri del nuovo verbo.
Molti prendevano atto e accettavano.
Qualcuno esprimeva le sue riserve sommessamente, in privato.
Alcuni, combatterono a viso aperto “il nuovo ordine”.
Tra di loro vi furono molti religiosi, cattolici e protestanti. Una figura svetta tra essi, il vesco di Munster.
Il 24 febbraio 1934 Hitler nominerà proprio Rosemberg suo sostituto per la direzione del partito nazionalsocialista.
L’ostilità di Von Galen si manifesta fin dai primi tempi del suo episcopato. In una lettera pastorale in occasione della Pasqua scritta il 26 marzo 1934, Vo Galen scriverà:
“Una nuova nefasta dottrina totalitaria che pone la razza al di sopra della moralità, pone il sangue al di sopra della legge […] ripudia la rivelazione, mira a distruggere le fondamenta del cristianesimo (…)”.
Nell’estate del 1935 è previsto che al congresso distrettuale del partito nazionalista a Munster, partecipi anche Alfred Rosemberg. Von Galen non ci sta, e scrive al prefetto della provincia della Westfalia per chiedere che si impedisca la presenza in città di Rosemberg, portatore di un catechismo di sangue e fanatico nemico del cristianesimo. La lettera nei suoi momenti conclusivi assume il tono della “messa in guardia”: “la popolazione cattolica di Munster potrebbe a ragione ribellarsi. Non solo, anche duri scontri e gravi disagi potrebbero verificarsi in città”. L’appello di Von Galen viene respinto e viene trasmesso a Berlino per darne conoscenza alle autorità centrali.  Il 6 luglio Alfredo Rosemberg arriva a Munster e parlando al congresso, si scaglia contro Von Galen.
“La richiesta del vescovo, grida, è una inaccettabile provocazione nei confronti del partito e dello stato. (…) “questa lettera dimostra che cosa venga inteso per la cosiddetta libertà di religione”.
Rosemberg cercò di aizzare il popolo di Munster contro il vescovo. Ma non ottenne alcun effetto. Anzi, l’8 luglio 1935 ventimila fedeli sfilano a Munster in solidarietà al loro vescovo. E’quasi una sfida al regime. La Gaulaiter, la direzione generale del partito nazista invia un rapporto a Berlino. La gente applaudì vigorosamente il vescovo. Ci furono scontri con la polizia, molte persone furono arrestate e la folla fu dispersa con gli idranti.
Pochi giorni dopo, il 16 luglio 1935, Hermann Goering, numero due del regime, emana un decreto contro il cattolicesimo politico. Ordina che si proceda nel modo più drastico possibile verso tutti quei cattolici che osano interferire nelle vicende dello stato. Seppure non nominato, il primo soggetto a cui ci si riferisce è proprio il vescovo di Munster. La Gestapo apre un fascicolo su di lui accusando di “fare politica dal pulpito”. Da quel momento in posi sarà sempre sotto controllo e spiato.
Il segretario  di stato vaticano Pacelli, che diventerà Pio XII, venuto a sapere dell’azione coraggiosa di quest’uomo gli esprime tutta la sua approvazione ed invia una nota di protesta al ministro degli esteri del Reich dove si accusa Goering di violazione del concordato. Indicativa la nota in cui la Gestapo scrive: “bisogna constatare che la propaganda politica della Chiesa diventa sempre più un serio pericolo per lo stato nazionalsocialista. Soprattutto perché il vescovo Clemence August di Munster, con il suo esempio e il suo comportamento, incita il clero a lui sottoposto a non ridurre la lotta della Chiesa”.
Nel 1937 Pio XI pubblicherà una enciclica che rappresenterà una ferma condanna del regime nazista, la “Mit Brennender Sorge”, “ Con viva ansia”. L’enciclica esprime condanna verso quello che viene visto con un feroce neopaganesimo antiumano. La condanna è esplicita: ”Chiunque voglia attribuire alla razza, o al popolo, o allo stato, o a coloro che detengono il potere un valore diverso da quello attribuito dalla tavola dei valori stessi e li divinizzi in un culto idolatrico, si pone fuori dalla vera fede”. La Mit Brennender Sorge viene tradotta in tedesco e pubblicata in Germania, dove letteralmente invade tutte le diocesi. Solo a Munster, il vescovo von Galen ne fa stampare 120000 copie. La diffusione di questa enciclica  venne dichiarata dalle autorità naziste «un atto di alto tradimento contro lo Stato». Arresti e sequestri si susseguirono ovunque. Contro Von Galen ci fu una recrudescenza di intimidazioni. Ma tutto questo non lo rendeva più debole. Cresceva invece il suo prestigio, diventando un punto di riferimento per tutti, anche per gli ebrei. Alla vigilia della guerra, von Galen per aver «attaccato fortemente le basi e gli effetti del nazionalsocialismo», veniva registrato dalla Cancelleria del Reich come uno dei più pericolosi avversari del regime.
L’enciclica vaticana, la sua diffusione in Germania, le parole di vescovi come Von Galen scatenarono la reazione di Hitler, rabbioso verso queste resistenze al potere e alla ideologia del Reich. Il Fuhrer dispose la ripresa dei processi contro gli ordini religiosi, ordinò di abolire la stampa popolare cattolica e ordinò la chiusura di tutte le scuole religiose di ogni ordine e grado. Ma il Fuhrer voleva colpire l’immaginario anche con un forte atto simbolico e ordina l’eliminazione del crocifisso dalle aule scolastiche e la sua sostituzione col ritratto del Fuhrer. Gli alunni avrebbero dovuto, in apertura della giornata scolastica, recitare questa sorta di parodia di preghiera verso Hitler, nuovo uomo-dio della Germania:
“Adolf Hitler, tu sei il nostro grande Fuhrer, il tuo nome fa tremare i nemici, venga il tuo regno, soltanto la tua volontà sia legge sulla terra, facci udire ogni giorno la tua voce e comandaci per mezzo dei tuoi capi ai quali vogliamo obbedire con l’impegno della vita. Lo promettiamo. Heil Hitler”.
Le croci vengono tolte dalle aule di tutte la Germania, senza particolari reazioni di resistenza. Ma una reazione ci fu, proprio in Westfalia, a Klofenborg, dove la folla si ribella contro la disposizione di togliere il crocifisso. Questa opposizione costringe, il 25 novembre 1936, il Gauleiter del Munsterland a revocere il decreto sulla rimozione del crocifisso. Un evento come questo ha rilievo soprattutto non per l’oggetto concreto in gioco, la rimozione del crocifisso dalle scuole, ma per quello che rappresentava su un piano più ampiamente simbolico. Ovvero, che alcuni reagivano. Che una volontà di resistenza era possibile.
Torniamo al clima di idolatria biologica di quegli anni.
Nel 1933 era stata emanata la “legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie”. Il 18 ottobre 1935 fu il turno della “legge sulla salute coniugale” che impediva i matrimoni e la procreazione tra persone disabili. Con essa si autorizzava l’aborto nel caso in cui uno dei genitori fosse stato affetto da malattie ereditarie. La del 1933 servì a portare avanti una massiccia opera di sterilizzazione dei soggetti affetti da “tare”, affinché questi ricettacoli di deformità e degenerazione razziale, non infettassero la pura razza ariana. Secondo alcuni calcoli, in pochi anni circa 350000 tedeschi vennero sterilizzati.
Nel corso di quegli anni non si procedette ancora con l‘eliminazione di esseri umani, ma si lavorò sul piano del condizionamento mentale di massa, al fine da rendere più “tollerabile” nel popolo tedesco che il venir meno di esseri umani “tarati” fosse una idea accettabile. Non si diceva esplicitamente “vogliamo eliminare questi esseri inferiori, appogiateci”, ma si creava una atmosfera di disfavore verso l’esistenza di tutti questi esseri deformi e mentalmente malati, li si faceva sentire come un peso insostenibile verso la società e un ostacolo verso il futuro, e si cercava di trasmettere l’idea che un venire meno di queste persone sarebbe stato un bene per tutti, anche per le stesse persone che sarebbero venute meno, liberate da una vita colma di infelicità. Il cinema ebbe un ruolo importante nella veicolazione di questi messaggi. Ad esempio, nel film, “Vittime del passato” del 1937, in un passaggio si dice:
“Tutto ciò che è troppo debole per sopravvivere va inevitabilmente distrutto dalla natura. Negli ultimi decenni l’umanità ha peccato orribilmente contro la legge della selezione naturale. Non solo abbiamo risparmiato vite indegne della vita, ma abbiamo anche permesso loro di moltiplicarsi. Ecco i discendenti di questa generazione tarata. Grazie ai farmaci nei manicomi sopravvivono intere famiglie. I costi necessari per curare i figli malati di questo solo gruppo sono stati finora 154000 marchi. Quante case per gente sana si sarebbero potute costruire con questa somma?”.
Hitler ordinò la proiezione di questo film in tutte le 5300 sale cinematografiche del Reich.
Ma la propaganda agiva suo ogni livello. Ecco un problema contenuto in un programma di matematica del 1940:
“Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno, uno storpio 5,50, un criminale 3,50. In molti casi un impiegato statale guadagna solo 3,50 marchi per ogni componente della sua famiglia, e un operaio specializzato meno di 2. Secondo un calcolo approssimativo risulta che in Germania gli epilettici, i pazzi, etc. ricoverati sono circa 300.000. Calcolare: quanto costano complessivamente questi individui ad un costo medio di 4 marchi? Quanti prestiti di 1.000 marchi alle coppie di giovani sposi si ricaverebbero all’anno con quella somma?”
Procedere con la sterilizzazione non era sufficiente per gli ideologhi del Reich; doveva essere solo il primo passo. Il passo successivo sarebbe stata l’eliminazione di queste vite “indegne di essere vissute”. La legge sull’eutanasia venne promulgata il 1° settembre 1939. La coincidenza temporale tra questa legge e l’inizio della guerra era dovuta quasi certamente alla consapevolezza del fatto che l’atmosfera di guerra avrebbe attirato meno l’attenzione su questo progetto e facilitato la sua attuazione.  di non attirare troppo l’attenzione della popolazione tedesca. Nell’ottobre 1939 il Fuhrer emana un decreto, dove viene dato mandato, affinché, si scrive con un allucinante eufemismo  “venga affidata la responsabilità di ampliare l’autorità dei medici perché concedano una morte pietosa ai pazienti considerati incurabili.”
Per attuare la procedura di eliminazione in modo tale da suscitare meno sospetti possibili, si era escogitato tutto un complesso procedimento. La “sala di regia”, potremmo dire era situata a Berlino al numero 4 di Tiergartenstrasse, l’indirizzo del quartiere Tiergarten di Berlino dove era situato il quartier generale dalla Gemeinnützige Stiftung für Heil- und Anstaltspflege, l’ente pubblico per la salute e l’assistenza sociale. Da qui il nome del progetto, Aktion T-fear. T era l’iniziale della via, fear è il numero quattro, il numero civico della via in lingua tedesca.
A partire dall’autunno 1934 dalla T-Fear furono inviati questionari indirizzati agli istituti psichiatrici del Reich. Ufficialmente si trattava di realizzare un censimento delle attività lavorative dei malati. La procedura mirava a mantenere il segreto più assoluto. Psichiatri, neurologi, medici generici, infermieri, dovevano riempire questionari e stilare elenchi di pazienti, freddamente definiti “idonei al progetto”. Questi pazienti erano suddivisi in quattro categorie: pazienti sofferenti di malattie specifiche quali schizofrenia, epilessia, malattie senili, e altre condizioni neurologiche di natura terminale. Pazienti ricoverati in forma continua per almeno cinque anni. Pazienti in custodia come pazzi criminali.
Pazienti che non sono cittadini tedeschi, o non sono di sangue tedesco o affini. Una volta inviati i questionari compilati, la sede centrale di Berlino decideva le persone da eliminare e preparava delle “liste di trasferimento” da inviare ai singoli istituti disponendo che si preparassero i malati per la partenza. Il giorno stabilito si presentavano degli uomini della c.d. “Società di Pubblica Utilità per il trasporto degli ammalati”. I pazienti erano fatti salire su grossi pullman dai finestrini coperti con vernice scura o tendine avvolgibili, in modo da nascondere queste persone agli occhi della popolazione. tramite grossi pullman dai finestrino oscurati erano trasportati in uno dei vari centri di eliminazione. Questi pullman li trasportavano  Grafeneck, Bernburg, Sonnenstein, Harthei, Branderburg, Hadamar; in appositi istituti.
Giunti in questi istituti, entro massimo pochi giorni, i malati venivano portati nei sotterranei, fatti spogliare e poi fatti entrare in dei locali che sembravano docce, ma da dove invece di acqua usciva il famigerato monossido di carbonio. Una volta che veniva riaperte le porte delle docce, i corpi, a volte coperti di vomito ed escrementi, venivano scaraventati nei forni crematori. In puro spirito di efficienza tedesca, dai cadaveri, prima di gettarli nei forni crematori, venivano tolti i denti d’oro che sarebbero stati mandati in appositi uffici. E visto che il terzo Reich aveva molto a cuore le ricerche “scientifiche”; una parte dei cervelli venivano sezionati o inviati al “Kaiser Wilhelm Institut” dove un’équipe medica se ne serviva per i suoi studi sulla neuropatologia.
I parenti avrebbero ricevuto una lettera standard dove veniva comunicato loro l’“improvviso decesso”, per motivi di volta in volta fittiziamente indicati; come collassi cardiaci, polmoniti, ecc.; il tutto accompagnato da una commossa lettera di condoglianze.
E, con impeccabile “accortezza”, si chiedeva loro in che cimitero avessero preferito fosse inviata l’urna con le ceneri; che non conteneva mai veramente le ceneri della persona in questione. Si prendevano delle ceneri a caso tra quelle accumulate e le se metteva in quell’urna e poi la si spediva.
Non ci sono cifre certe. Ma dati ufficiali parlano di quasi 40000 morti tra il 1940 e il 1941.
Molti erano ignari di ciò che accadeva. Molti finsero di non vedere. Alcuni capirono ciò che era in atto ed ebbero il coraggio di agire.
Un’azione che richiese del fegato fu quella di un prete  che somministrò la comunione ai pazienti mentre stavano salendo sull’autobus dinanzi a una grande folla di cittadinanza che guardava tra lo sbigottito e lo sconvolto. Il gesto di quel prete (di cui parla una relazione delle SS del 1941) era un “accompagnamento” alla morte; e quindi, nei fatti, era anche un fare comprendere, a chi era presente, che era in atto, una “pratica di morte”.
Il primo a denunciare quanto stava accadendo fu il cardinale di Berlino, Adolf Bertram, con un duro scritto inviato alla cancelleria del Reich nell’agosto 1940, nel quale chiedeva che vi fosse il “riconoscimento del valore insostituibile della persona umana”. Con Von Galen, però, l’opposizione a questo progetto si trasformò in una lotta totale. Le sue denunce divennero molto incisive anche perché era in grado citare esempi pratici, che facevano “vedere” quanto avveniva ancora più reale.
Nell’estate del 1941 ci furono le tre più celebri prediche di Von Galen. Il 13 luglio, il 20 luglio, e il 3 agosto.
Il 13 luglio, in un momento in cui la Gestapo stava portando avanti arresti arbitrari di massa contro religiosi, condannò le azioni della Gestapo come un pericolo per tutti i cittadini.
“Nessuno di noi è al sicuro, nemmeno se in coscienza fosse il cittadino più onesto, sicuro di non venire un giorno prelevato dalla propria abitazione, spogliato della propria libertà, rinchiuso nei campi di concentramento della polizia segreta di Stato. Sono cosciente che questo oggi può accadere anche a me… Il comportamento della Gestapo danneggia gravemente larghissimi strati della popolazione tedesca… “. Un testimone raccontò che, alla fine di questa predica “Gli uomini e le donne si alzarono in piedi, si sentirono voci di consenso e anche di terrore e di indignazione, cosa che generalmente è impensabile qui da noi, in chiesa. Ho visto persone scoppiare in lacrime”.
Il 20 luglio la chiesa era stracolma, per via dell’eco che aveva avuto la prima predica. Von Galen attaccò il folle progetto di potere che avrebbe portato il Paese alla rovina, e che generava odio senza fine:
“Ora noi vediamo e sperimentiamo chiaramente che cosa c’è dietro la nuova dottrina che da anni ci viene imposta: Odio! Odio profondo, come un abisso, nei confronti del cristianesimo, nei confronti del genere umano…”. In quella stessa occasione Von Galen disse “noi siamo incudine e non martello. Se l’incudine  è sufficientemente salda, tenace e solida, allora durerà più del martello e potrà servire ancora a lungo per ciò che ancora verrà forgiato. Adesso ciò che viene forgiato sono coloro che vengono imprigionati ingiustamente, gli espulsi senza colpa, gli esiliati. Nel momento in cui il martello della persecuzione che di certo li colpirà duramente e ingiustamente li ferirà nel profondo dio li assisterà, affinché in quel momento non perdano la forma e la fermezza di condotta cristiana.”
Ma fu nella terza predica, il 3 agosto 1941,  dalla chiesa di San Lamberto a Munster, che, contro la pratica di sterminio delle vite “imperfette”, Von Galen portò la denuncia al suo limite estremo.
Von Galen usa riferimenti concreti che rendono le sue parole ancora più reali:
“Il 28 luglio ho sporto denuncia al pubblico ministero della pretura di Munster e al signor questore di Munster con una lettera raccomandata del seguente tenore “secondo informazioni a me giunte, in questa settimana, un gran numero di malati della casa di cura provinciale di Marienthal presso Munster dovrà essere trasferito come cosiddetti connazionali improduttivi nel manicomio di Echberg per essere poi premeditatamente uccisi. E dalla casa di cura di Warstein ho saputo che sono già stati portati via ottocento malati”.
A un certo punto, le parole oltrepassano i riferimenti concreti e i singoli esempi, per diventare un atto di accusa definitivo, una delle più vigorose condanne mai lanciate, in quel tempo, contro il nazismo.
Due passaggi sono decisivi. Questo:
“Vengono adesso uccisi, barbaramente uccisi degli innocenti indifesi; anche persone di altra razza, di diversa provenienza vengono soppresse(..). Siamo di fronte a una follia omicida senza eguali(..)con gente come questa, con questi assassini che calpestano orgogliosi le nostre vite, non possiamo più avere comunanza di popolo!”
E poi quest’altro passaggio, dove, con parole memorabili, Von Galen, fa capire a chi lo ascolta che ciò che sta accadendo riguarda anche lui. Che tutti possono, prima o poi, essere considerati “improduttivi”, e quindi potenzialmente essere considerati eliminabili:
“Hai tu o io il diritto alla vita finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l’uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi che nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze; le loro ossa sane le hanno sacrificate e perdute. Guai ai nostri soldati che tornano in patria gravemente mutilati, invalidi.. Abbiamo forse il diritto di vivere solo finché siamo produttivi, solo finché altri ci riconoscono come produttivi? Nessuno è più sicuro della propria vita”.
Bisogna davvero fare un grande sforzo per immaginare il clima di quell’epoca, e riuscire, almeno in parte, a comprendere il coraggio straordinario che Von Galen tirò fuori in quelle occasioni. Il coraggio straordinario che c’era voluto per fare un attacco pubblico che denunciava davanti alla cittadinanza come il loro governo stesse sistematicamente attuando un progetto di annientamento umano. Goebbels lo definì “l’attacco frontale più forte lanciato contro il nazismo in tutti gli anni della sue esistenza.”
Queste parole  ebbero un’eco enorme e fecero il giro nel mondo. Vennero stampate e lette ovunque. A diffonderle non erano solo cristiani. Nell’invero del 41-42 parecchi ebrei vennero arrestati dalla Gestapo perché diffondevano le prediche di Von Galen. Il capo delle organizzazioni giovanili delle SS ragliò: “Io lo chiamo il porco C. A., cioè Clemens August. Questo alto traditore e traditore del Paese, questo porco è libero e si prende la libertà di parlare contro il Führer. Deve essere impiccato”.
Al vertice del potere, riunito presso il quartier generale la discussione fu infuocata. Gli animi erano tesi. I gerarchi schiumavano dalla rabbia verso questo vescovo westfalico che osava pronunciare esprimersi con parole così violente. Martin Bormann propose di procedere subito all’impiccagione di Von Galen. Ma Goebbels ribatté che, se in quel momento si fosse proceduto contro Von Galen, tutta la Westfalia si sarebbe sollevata e sarebbe stata perduta per l’impegno bellico. Hitler concordava con Goebbels; sapeva che procedere in quel momento contro Von Galen sarebbe stato un boomerang e testualmente disse: “i conti con lui saranno fatti fino all’ultimo centesimo. Quel Galen avrà la sua condanna a tempo debito, dopo la vittoria finale. Ora ciò che conta è fare il vuoto intorno a questo vescovo, rappresentante di una meschina e spregevole religione di sottomissione, umiltà, misericordia, ascetismo e schiavitù”.
Ma Von Galen non si fermò, e continuò, dal pulpito di Munster, con la sua costante denuncia. Le sue parole raggiungono ogni angolo della Germania. Il regime che non poteva toccare lui, iniziò una persecuzione verso tutti coloro che lo appoggiavano e lo sostenevano. Ma queste persecuzioni non crearono il vuoto intorno a Von Galen, e non resero meno forte la capacità di penetrazione delle sue parole. Alcune copie delle sue prediche raggiunsero gli alleati, che decisero di usarle come un’arma. Aerei alleati lanciarono copie di queste prediche sulle popolazioni e sullo stesso esercito tedesco. La loro lettura destabilizzò molti anche tra i soldati. Un ex soldato dell’epoca anni dopo disse: “le prediche mi hanno colpito, perché noi tutti avevamo dei compagni feriti alla testa da un’arma da fuoco. Era inaccettabile che potessero essere definite vite senza valore e che potessero essere uccisi una volta tornati a casa. Non poteva essere vero. Eravamo indignati. Abbiamo presentato delle richieste ufficiali perché si ponesse fine a quella che chiamavano eutanasia.”
Siamo nel settembre 1941, la situazione per la Germania è sempre più complicata. Gli Stati Uniti sono prossimi a entrare in guerra. I giornali esteri fanno eco alle prediche di Von Galen.  Anche Pio XII esprime solidarietà a Von Galen. I cittadini cattolici della Westafalia si stringono sempre di più attorno a lui. In una informativa della Gestapo è scritto “la determinazione del vescovo di Munster può provocare nella popolazione gravi rischi di insubordinazione e di rivolta.” Hitler ha aperto un secondo fronte ad Est, attaccando l’Unione Sovietica. La situazione bellica richiede una totale compattezza da parte del popolo tedesco, e il Fuhrer non può permettersi che una parte della nazione diventi recalcitrante e gli sfugga di mano. Ed è costretto ad ordinare la sospensione dell’operazione T-fear, l’operazione che prevedeva l’eliminazione della vite “indegne di essere vissute”.
Alcuni anni dopo. Primo luglio 1945, la guerra è finita, Hitler si è ucciso. Von Galen davanti al suo popolo usa parole dure contro il nuovo governo militare alleato e la teoria della colpa collettiva del popolo tedesco:
“Sotto il nazismo dissi pubblicamente, e lo dissi anche riguardo a Hitler nel 1939, quando nessuna potenza intervenne allora per ostacolare le sue mire espansionistiche, ‘la giustizia è il fondamento dello Stato’. Se la giustizia non viene ristabilita allora il nostro popolo morirà per putrefazione interna. Oggi devo dire ‘se tra i popoli non viene rispettato il diritto, allora non verrà mai la pace e la concordia’. “
Alcuni mesi dopo, nell’autunno del 1945, Von Galen si trovava nella città di Fuld, che era stata rasa al suolo dai bombardamenti, per la conferenza episcopale che si teneva nel convento del Sacro Cuore, che era il collegio che dove studiava la nipote di Von Galen, Pia Hovel, che anni dopo ricordando quel periodo dirà:
“Poiché ero sua nipote ebbi la fortuna di restare da sola con lo zio durante la pausa di mezzogiorno. Abbiamo fatto una passeggiata fino al piccolo cimitero delle suore e lì ci siamo fermati a pregare. Lo zio ha detto “preghiamo Dio per tutti quei poveri uomini che sono stati perseguitati e rinchiusi nei campi di concentramento per avere diffuso le mie prediche e anche per i loro parenti che hanno perso così i loro cari. Preghiamo insieme perché molti di questi uomini sono morti al posto mio. “
Il 23 dicembre dello stesso anno la radio vaticana annunciò la nomina di 31 nuovi cardinali. Tra gli altri il vescovo Clemence August Von Galen. Il 21 febbraio 1946 si tenne il primo concistoro ordinario pubblico di Pio XII. Quando entrarono i nuovi porporati, l’applauso che accolse il loro ingresso nella basilica di San Pietro era tranquillo, un applauso “consueto”. Ma quando entrò in scena l’alta figura del cardinale di Munster, l’applauso diventò un’ovazione. Il leone di Munster, titoleranno i giornali il giorno dopo, è l’eroe del concistoro.
Clemence August Von Galen muore il 22 marzo 1946.
Sei giorni prima il 16 marzo 1946, tra le macerie della sua cattedrale distrutta, il cardinale Von Galen si era rivolto un’ultima volta al suo popolo:
“Il buon Dio mi ha dato un incarico per il quale era mio dovere chiamare nero il nero e bianco il bianco. Voi stavate con me e i potenti di allora sapevano che il popolo e il vescovo della diocesi di Munster erano un’unità indissolubile e che se avessero usato violenza contro il vescovo, sarebbe stata l’intera diocesi a sentirsi colpita. E’ questo ciò che mi ha protetto. Che mi ha dato forza interiore e ha rafforzato la mia speranza”.

Alfredo Cosco

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