Cina e Russia Dicono Addio Agli OGM: Quali Le Vere Motivazioni?
Dopo aver interrotto le importazioni di mais ogm americano, a sorpresa la Cina ferma anche le contestate produzioni interne. Così pure il governo russo, che in questo modo risponde alle sanzioni e allo stesso tempo si fa bello davanti ai suoi elettori, sempre più fervidi appassionati di biologico.
Si chiama geopolitica del biologico, quella strategia di ribellione all’Occidente basata sulle fondamenta dello sviluppo di una nazione: il cibo. Il ministro dell’Agricoltura cinese qualche giorno fa ha definitivamente chiuso il programma di coltivazione di riso e mais ogm, ufficialmente in risposta alle crescenti proteste di una popolazione sempre più allarmata sulle conseguenze per la salute e l’ambiente del cibo geneticamente modificato.
Ma la Cina non è certo famosa per la sensibilità dei governi all’opinione pubblica, e infatti la mossa sembra essere legata (anche) al fatto che il Paese sta raggiungendo l’auto-sufficienza nella produzione di riso e adesso può permettersi di lasciar perdere i poco amati ogm ma soprattutto di dire di no alle importazioni Usa (che utilizzano ogm e non hanno l’obbligo di segnalarlo in etichetta), cosa che è costata agli Stati Uniti quasi 3 miliardi di dollari.
Anche l’opinione pubblica che pretende bio, del resto, sembra mossa più da un sentimento anti-occidentale che da una convinzione scientifica. La produzione biologica è associata sempre di più all’auto-produzione locale e indipendente (indipendente dalle multinazionali occidentali, come la Monsanto), e in più sana e amica dell’ambiente.
Qualcosa di simile ha fatto, qualche mese prima, la Russia, che ha detto basta alle importazioni di cibo ogm dagli Usa. Il premier Dmitry Medvedev ha spiegato che il Paese ha abbastanza spazio e mezzi per produrre cibo biologico – non semplice cibo – per tutti i suoi cittadini: sano, bello e russo. E ha aggiunto che se proprio gli americani vogliono coltivare prodotti ogm, se li mangino pure. Tiè.
Per spiegare meglio la dinamica si cita spesso l’Afghanistan: dove una volta fiorivano papaveri da oppio, oggi crescono colture di soia ogm, la cui semina dipenderebbe strettamente dal compatto gruppo di multinazionali occidentali che ne detiene il monopolio.
A pensar male si fa presto, e la cosa assume spettrali ombre imperialiste: fino a che punto gli ogm possono minare la sovranità di un Paese e la sua (magari futura) indipendenza?
Sarebbe insomma per convenienza politica che Paesi come la Russia (sottoposta a sanzioni dopo la crisi ucraina, ma capacissima di rispondere a sua volta con altrettante sanzioni, guarda un po’ proprio nel settore agro-alimentare) e la Cina cavalcano l’onda della paura-ogm tra la popolazione, a favore della voglia di km-zero e biologico auto-prodotto. Stessa cosa sta facendo l’Iran, dove l’80% della produzione è biologica, e le sanzioni sembrano finora aver penalizzato di più l’Occidente.
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